Alessandro Fenu, artista trentatreenne originario di Oschiri, sin da bambino coltiva un rapporto simbiotico con l’arte figurativa: il primo input gli arriva dal padre, anch’egli artigiano e pittore. Dopo il diploma all’Istituto Statale d’arte Figari di Sassari, il suo percorso d’artista prende il largo, come una nave che abbandona il porto per esplorare il mare aperto. È nell’estate del 2010, però, che avviene qualcosa che cambierà per sempre la direzione della sua arte e della sua vita.

Ho fatto un viaggio di un mese in Corsica: ho affrontato la terra, la roccia e il mare. La Corsica è una terra collinare, più della Sardegna, è ricca di boschi di castagni, alberi che tendono a salire su per il cielo alla ricerca di luce e acqua.

Il viaggio in Corsica finirà per diventare un momento fondamentale per il percorso di Alessandro.

È stato un bel viaggio, molto importante: attraversando la gola della Restonica, a 1700 metri di altezza, abbagliato da un sole cocente e di fronte a un lago naturale di un blu cobalto intenso, ho cominciato a meditare e a porre in bilico, una sopra l’altra, delle pietre: curve, quadrate, asimmetriche e simmetriche. Nascevano figure tridimensionali in granito. Per me era un gioco: stavano nascendo sculture naturali in equilibrio. In breve creai un ambiente di sinergia artistica intorno: scrutai dappertutto e scrutai me stesso.

Dopo il viaggio, Alessandro prende la decisione di lasciare la sua terra: se l’arte chiama, è difficile rimanere indifferenti alla sua voce.

Decisi di partire a studiare, di cambiare vita: la vita del cantiere (dove lavoravo) mi era stata utile perché, attratto dalle texture, riutilizzavo i materiali (cementi, intonaci, smalti, vernici acriliche) a mio piacere nelle opere pittoriche. Ma adesso volevo di più, la passione per l’arte, messa da parte nel 2003, quando mi sono diplomato all’Istituto d’arte di Sassari, stava riesplodendo dentro di me: in cima al Mediterraneo ne ebbi consapevolezza.

Ad attenderlo c’è Milano, la grande Milano, una metropoli affascinante e ricca di stimoli, ma molto diversa dai luoghi dove l’artista ha vissuto fino a quel momento.

Dopo sette anni di lavoro in cantiere edile mi sono ritrovato a Milano: per me, abituato a vivere in un paesino tranquillo, è stato un trauma che subito ho rappresentato in alcuni dipinti.

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Alessandro si iscrive all’Accademia di Belle Arti di Brera dove conosce un insegnante che avrà un’influenza notevole sulla sua carriera artistica.

A Brera ho concretizzato la mia vena artistica grazie alle esperienze di vita, bellissime amicizie e professori-artisti, tra cui Guido Lodigiani, odiato da tanti, ma per me fondamentale: solo osservando i miei disegni, mi fece capire che la scultura mi apparteneva intimamente.
Facevamo sei ore alla settimana di “disegno da scultore”: mentre le modelle – fantastiche! – si muovevano nell’aula, noi le ritraevamo e tiravamo fuori l’aura di quel preciso momento; dopo, dovevamo  quanto disegnato in sculture tridimensionali in legno, pietra o argilla.

La stima fra professore e allievo prende la forma di una collaborazione molto fruttuosa: Alessandro decide di dedicarsi all’esplorazione della scultura.

Il professor Lodigiani mi prese come tecnico di laboratorio per tre anni consecutivi: affinai la tecnica nel disegno e passai dal bidimensionale del quadro alla tridimensionalità dell’opera plastica. Di solito sono due cose che non vanno di pari passo, ma per me, che venivo dal mondo del cantiere, mi veniva più naturale tirare su un muro di argilla e dargli una definizione che affrontare la bidimensionalità della tela.

Dopo l’esperienza come tecnico, Alessandro si ritrova a pensare alla sua identità di artista sardo e a quanto della cultura e della tradizione isolana c’è dentro di lui.

Trascorsi i tre anni, fra studio dei corsi, workshop ed esposizioni, ho riflettuto sulla mia poetica artistica per trovare il filo conduttore della mia tesi di ricerca.
Ho riflettuto sul fatto che noi sardi ci portiamo dentro un bagaglio culturale ancestrale, è un legame innato con la terra ed è una caratteristica positiva, perché ci permette di non dimenticare il nostro passato: parlo dei modi di fare, di pensare, di lavorare e di desiderare dei sardi, parlo del passato, dell’archeologia, di tutta la cultura, della musica.

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Nasce la sua tesi di laurea, e non può che essere incentrata sull’arte sarda.

La mia tesi parla di questa: l’identità e la cultura sarda vissute attraverso l’arte contemporanea, i tratti culturali isolani che si notano nell’operare artistico dei creativi sardi, partendo da Nivola fino a Sciola.

L’iscrizione al biennio in Scultura permette ad Alessandro di conoscere un altro mentore, un professore-artista che lo spinge a esplorare nuovi orizzonti artistici.

Mi appassionai ai corsi del professore/scultore Pietro Coletta, che mi indirizzò verso la land art e le installazioni naturali. Parlavo tantissimo con Coletta, penso che sia uno dei professori più umani che io abbia incontrato: i suoi lavori legno e ferro monumentali disseminati in vari siti del sud italia hanno una carica, una tensione impressionanti. Quello che ho potuto percepire (o che il professore ha cercato di farci capire) è che la scultura vive di vita propria, ma ha bisogno di una tensione che viene data soprattutto dalle linee di fuga orizzontali e verticali.

L’incontro con il professor Coletta spinge Alessandro a sperimentare con materiali naturali, il che lo conduce a un’ulteriore riflessione su quanto la cultura sarda influenzi la sua vena artistica.

Cominciai a lavorare con legno, pietra, terra, senza sconvolgere la forma naturale del materiale scelto, incidendo alcune texture: le mie opere assumevano (e tuttora assumono) un aspetto da reperto ancestrale, qualcosa legato alla memoria: forse la memoria di essere anch’io in simbiosi con la antica cultura sarda, la mia terra d’origine.

Il viaggio (fisico, intellettuale, artistico) di Alessandro non è ancora finito. La tappa successiva è una prestigiosa università portoghese, dove il nostro artista conosce un altro mentore.

In Portogallo ho studiato un anno alla Facultade de Belas-Artes do Porto: lì ho conosciuto l’attuale professore di Tecnicas da Escultura, Volker Schnuttgen, un professore tedesco che ho vissuto gli anni del minimalismo tedesco. La sua impronta professionale è l’essenzialismo.

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Il professor Schnuttgen aiuta Alessandro a fare un altro passo verso la comprensione della sua arte e del rapporto fra materia e uomo.

Mi ha fatto comprendere l’aspetto meditativo della scultura, il suono del materiale che utilizzavo, la sua anima. Ricordo che eliminai tutta la attrezzatura meccanica che mi era stata messa a disposizione per poter lavorare la pietra e scolpii un blocco di granito solo con punta e mazzetta. Meditavo ascoltando il suono del mio corpo che batteva naturalmente contro un altro corpo naturale: così sono riuscito a cogliere la tensione e il legame affettivo che si genera quando due corpi differenti, ma della stessa natura e dello stesso universo, vengono a contatto.

L’opera diventa un cuneo nelle riflessioni di Alessandro sulla propria poetica: c’è lo scorrere del tempo, ci sono il cielo, la terra e la materia che si compenetrano. Completata l’opera, per Alessandro arriva il momento del ritorno: la sua terra lo attende.

Scavai a lungo il blocco, formando una vasca interna, feci contemporaneamente un grande piatto di ceramica con un foro centrale sulla base e lo installai al di sopra della vasca di granito con della corda di canapa ad un grosso ramo di un faggio. Aspettavo l’ acqua dal cielo. Arrivò la pioggia: riempii prima il piatto e dal piccolo foro del piatto iniziava a riempire goccia a goccia con suono intenso la vasca di granito sottostante. Concettualmente, ho voluto rappresentare il trascorrere del tempo dell’essere, la sua esperienza affettiva. dal cielo nasce l’idea primaria, trapassa e si concretizza a terra nella roccia.
Dopo aver realizzato quest’opera, esposta nel giardino della Facultade, decisi di vivere e lavorare in Sardegna: avevo bisogno di stare a stretto contatto con la natura e caricarmi delle sue energie positive. 

L’arte è un elemento sociale

Alessandro ha una precisa visione dell’arte come elemento che si intreccia con la sua visione della vita: non è un caso se dal suo punto di vista l’arte è e dev’essere immersa nella società.

Oggi la mia poetica artistica è basata sul rapporto fra sensibilità ed emozione, da tutto quel tessuto di relazioni che scaturiscono da queste, un po’ come il nastro azzurro di Maria Lai che riuscì a costruire un’armonia dove esisteva disarmonia da secoli. L’arte è un elemento sociale, deve essere usata per rappresentare e risolvere i problemi reali, è concepita per sconfiggere il moralismo, il pregiudizio, il regresso. 

Oltre a una funzione sociale, l’arte dovrebbe avere una funzione pedagogica: per i bambini soprattutto, ma non solo.

L’arte deve educare i bambini a usare in modo piacevole la propria sensibilità: sono loro i rappresentanti del prossimo futuro. Per questo ho creato uno spazio espositivo nei boschi del Logudoro dove chiunque può partecipare, collaborare, condividere e tramandare: Medados arte e terra è opera aperta.

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Dal viaggio in Corsica sono passati tanti anni, eppure quell’estate del 2010 ha rappresentato un punto di svolta. È lì che l’arte di Alessandro ha cominciato a germogliare.

Ogni forma nasce seguendo un percorso ben preciso, intriso di impulsi, sensazioni, si placa in un’idea primaria che decide il segno; il resto è dettato da un tessuto di appartenenza che in alcuni casi sfocia in timbri ben marcati come “l’antropomorfo” o “l’arcano”. Lascio che il vissuto crei forme, non le corrompo, ma cerco di manifestarle. Stando seduto sopra un masso di dimensioni monumentali ho scrutato prima la valle poi il cielo: la mia mente si è persa nell’immaginario.

Alessandro è un vero artista, uno di quelli che vive la sua opera come una missione. La sua arte è totalizzante, nel senso che è impossibile scinderla dalla sua vita e dalla sua visione del mondo, visione che rappresenta senza filtri con le sue opere.