Una passione che è quasi un bisogno fisiologico, l’urgenza di dipingere, il desiderio di immergersi in una realtà altra: la pittrice cagliaritana Fernanda Sanna scopre la sua vocazione da bambina, durante un’infanzia immaginifica.

Più che di passione, ti racconto di una necessità che intorno agli otto anni si è fatta sempre più incalzante. Finivo quanto prima i compiti scolastici per poter dedicare tutto il pomeriggio al disegno e alla pittura: mi immergevo in una realtà che potevo scegliere di creare come desideravo. Era un momento magico e potevo sognare il mio futuro.

Dipingere, disegnare, leggere e scrivere: la bambina Fernanda sfoga così tutta la sua creatività, anche se in casa fatica a trovare l’appoggio che cerca.

Dai dieci ai dodici anni circa, ho vissuto una fase in cui disegnavo abiti: pensavo seriamente di diventare una stilista! Avevo la passione anche per la letteratura (scrivevo racconti e poesie) e il canto. Carmina non dant panem mi ricordava ogni tanto mia madre: le mie attitudini artistiche non erano valorizzate dalla mia famiglia.

Quell’appoggio che non trova a casa, Fernanda lo trova a scuola: la sua insegnante Anita la incoraggia a dare sfogo a tutta la sua creatività, senza limiti. A casa, purtroppo, le cose vanno in modo diverso.

Sono stata fortunata: la mia insegnante delle elementari aveva una mentalità apertissima alle novità e adottava metodi didattici evoluti. Anita, così si chiama, ci incoraggiava a cimentarci nelle diverse forme d’arte: con lei recitavo, cantavo, disegnavo e studiavo con gioia. Mi ha davvero aiutato a combattere la noia che la scuola mi provocava. Purtroppo i miei genitori erano molto impegnati ad alimentare i loro conflitti, quindi ho dovuto gestire da sola, e male, un bagaglio di interessi molto ampio.

Fernanda completa gli studi nonostante una certa avversione alle istituzioni scolastiche. Fra i banchi si sente come paralizzata, chiusa in una gabbia che le impedisce di “spiccare il volo”. Questo la porta a esprimersi attraverso le parole o i colori.

Il mio rapporto con gli studi è stato sempre di amore e odio. Alla scuola materna, ma anche in famiglia, già percepivo un flusso di passione, emozioni, idee che stridevano con l’angustia circostante. Avevo necessità di essere guidata in quell’oceano di emozioni, ma in qualunque situazione mi trovassi finivo per escludere le mie attitudini. Per essere accettata dovevo “parlare come mangiavo”: questa la frase che sentivo ripetermi quando il mio linguaggio era un po’ forbito. Per questo, ora, tendo a parlare poco: parlo attraverso i miei quadri o i miei scritti. Ciò nonostante, ho studiato al Liceo Artistico, ho approfondito la tecnica con due maestri e, in seguito, mi sono laureata in Psicologia.

Fernanda Sanna Albero

Per Fernanda la pittura è molto più che un passatempo. È un modo per scoprire e analizzare sé stessa, anche quelle parti che provocano più dolore, e affrontare le grandi domande dell’esistenza.

Non ho mai vissuto questa attività come un hobby. Al contrario per me dipingere è tensione estrema verso la propria identità nascosta, una spinta che scaraventa senza pietà dentro le segrete della propria esistenza. Parlo di qualcosa di ancora più esteso del concetto di vita, qualcosa che ha delle implicazioni più complesse, che ha a che fare con il proprio esserci nella vita e nel mondo: dove viene sondato, oltre la volontà, il mistero primordiale di nascita e morte.

Attingere dall’ignoto

Per Fernanda fare arte significa scavare nel caos dell’esistenza: per questo, più che parlarci di “soddisfazioni”, la nostra artista ci parla di memorie. In particolare, condivide con noi un momento delicato e importantissimo della sua vita da pittrice.

Più che soddisfazioni, ho dei ricordi che ancora mi fanno sorridere, come quando restai frastornata, a vent’anni, dopo la vendita del mio primo pezzo: ero combattuta tra il volermene assolutamente disfare e l’atto di vendere una parte della mia vita psichica. Il fatto che poi, con il denaro ricavato, potei acquistare il mio primo, grande letto mise pace a questo alterco interiore.
Ma non certo per una concezione venale o superficiale della cosa, bensì per la presa di coscienza che una parte dei miei tormenti poteva trasformarsi in un pur piccolo regalo o vantaggio per me. Alla fine fu una constatazione amichevole.

Se la pittura significa scavare nel caos della vita, per Fernanda la musica è una forma di educazione, un mezzo attraverso cui fare ordine nella complessità dell’esistenza.

Sai, conosco tantissimi musicisti e in certi momenti ho desiderato leggere la musica e far confluire le note della mia mente su uno strumento. Per dipingere devo invece attingere dall’ignoto più profondo: approdo in un territorio vastissimo da cui potrei non fare più ritorno. A contatto con la musica entro dentro una forma matematica, una disciplina che sento potrebbe educarmi.

Fernanda Sanna - dipinto

Attraverso la contrapposizione fra musica e pittura Fernanda riesce a esplicare in modo cristallino che cosa le provoca il dipingere.

La pittura, per quanto mi riguarda, è totalmente priva di confini: posso perdermi disperatamente quando entro in questo universo e inizio a raccogliere tutto ciò che posso raccontare. Mi rendo conto possa sembrare un paradosso, visto che la musica è un prodotto finale immateriale per eccellenza, mentre la pittura è materia tangibile! Quando mi vengono in mente nuove melodie, corro a registrarle, come se avessero il potere di contenermi. La pittura mi sparpaglia, la musica mi educa: forse è per questo che ho sposato un violinista.

La pittrice originaria di Cagliari ha come stella guida uno dei geni dell’arte del novecento e ammira profondamente il carisma di una collega.

Riconosco come mio maestro Picasso: da piccola mi ispiravo a lui, amavo documentarmi sulla sua biografia e scoprire ogni giorno le sue opere. Tamara de Lempicka, poi, trovo sia una delle pittrici più carismatiche: mi riconosco nella sua personalità, nel suo esser paradossalmente “schiava della libertà”.

Fernanda però non è felice di come si vive l’arte in Sardegna, e lo dice senza mezzi termini: le piacerebbe creare un rapporto di scambio con altri pittori, ma di rado riesce a soddisfare questo desiderio.

Con il tempo ho imparato a rendere onore alla mia sincerità, perciò ti rispondo cogliendo al volo la prima cosa a cui mi ha fatto pensare la tua domanda: collaborando con diversi artisti, ho notato che tra noi pittori sardi la condivisione viene meno. Ho invitato tante colleghe e colleghi a esporre in diverse mostre collettive, ma io non ho mai ricevuto un invito da loro, mentre con i colleghi d’oltremare ci sono tante possibilità di scambio! Mi piacerebbe riuscissimo a collaborare, al di là di certe inutili competizioni che alla fine non portano da nessuna parte. Molte cose mi fanno pensare che per l’arte e la cultura in genere, sarebbe stato più semplice vivere fuori dalla Sardegna. Anzi, fuori dall’Italia.

Per Fernanda, l’obiettivo da raggiungere è quello di migliorare e crescere, condividendo ogni passo verso la consapevolezza con chi si sofferma ad ammirare le sue opere.

Non stancarmi mai di credere nei miei sogni per realizzarli e godere principalmente di questo: la lucente prospettiva di miglioramento, di crescita continua e la sempre maggiore capacità di condividere con gli altri il frutto di un’ascesa interiore. A chi osserva i miei “prodotti”, instillare questa speranza nel cuore.

Fernanda crede, anzi sente, che la pittura sia l’essenza stessa della vita. Dentro le sue opere, c’è un profondo lavoro di indagine interiore, che lascia una traccia profonda dentro di lei e in chi guarda.