Com’è avere diciannove anni e le idee molto, molto chiare? Alessio Garau, fotografo in erba di Villaperuccio, ci potrebbe scrivere un trattato: ha un pensiero profondo e lucido su quella che è la sua più grande passione, scattare fotografie. E dire che tutto è cominciato per caso:

Ho iniziato intorno ai diciassette anni, a scuola. Ho partecipato a un corso di fotografia tenuto da un professore, ma l’ho fatto per divertimento, in realtà non ero nemmeno così interessato. Piano piano, l’interesse è cresciuto: un mio parente mi ha prestato una vecchia macchina fotografica e mi sono accorto che scattare mi piaceva, mi piaceva proprio. Mi sono ritrovato ad approfondire i concetti imparati durante il corso. Adesso non faccio un passo senza la mia macchina fotografica.

Nel 2014 Alessio partecipa a un concorso a Ollolai e vince. È un momento memorabile, che lo sprona ad approfondire lo studio della fotografia.

La vittoria al concorso mi ha convinto a continuare a studiare e a sviluppare una visione personale della fotografia. Ho capito che è fondamentale inserire un messaggio in ogni foto che scatto, in modo che chi l’osserva possa cogliere le emozioni di quel preciso momento.

Comincia così la fase di sperimentazione, che un passo dopo l’altro lo porta alla nascita del primo progetto:

Per un anno almeno ho sperimentato ogni genere di foto e con le tecniche: paesaggi, astrofotografia… poi sono passato ai reportage e alla street photography. Quindi ho dato vita al primo progetto: Three months.

Per Three Months, Alessio è partito dalla voglia di capire il mondo attuale e i problemi della contemporaneità:

Three Months nasce dalla difficoltà a farmi un’opinione precisa sul fenomeno dell’immigrazione: ho deciso allora di andare a parlare con i diretti interessati, i migranti. Ho chiesto a varie associazioni di poter parlare con i ragazzi che ospitavano, ma non hanno accettato perché non ho il tesserino da giornalista. Poi ho parlato con i responsabili de “Sa Domixedda”, a Tratalias, che hanno accettato.

L’impatto è forte, l’approccio è morbido: ad Alessio, però, basta poco per entrare in empatia con gli ospiti della casa famiglia:

Durante la prima visita, mi sono limitato a parlare con i ragazzi. Erano timidi, ma piano piano siamo riusciti a creare un clima amichevole e si sono sciolti: mi hanno raccontato, non senza difficoltà, la loro storia di migranti. Alla seconda visita, mi hanno permesso di fotografarli.
Fotografare mi è servito per farmi un’idea più chiara della loro vita, con la speranza di averla trasmessa anche a chi osserva gli scatti.
Il progetto deve il suo nome a uno dei ragazzi: mi ripeteva di continuo “three months”, cioè la durata del viaggio per arrivare in Sardegna. Three Months mi ha talmente appassionato che non escludo di raccontare le storie di altri migranti.

Three Months spinge Alessio a dare il via a un altro reportage:

Ho un altro progetto in divenire, Beach Life. Ho deciso di raccontare la vita “da spiaggia” durante l’estate, dai mesi più affollati a quelli meno affollati.  Cercherò di mettere in evidenza cosa succede durante le varie parti della giornata. Con questo progetto conto di capire meglio la società in cui vivo. Le conclusioni le trarrò alla fine.

Beach_Life

Foto belle? No, foto buone

Dietro il lavoro di Alessio, c’è tanto studio e tanta pratica, oltre a buona dose di tecnica:

A parte il corso, sono fondamentalmente autodidatta. La tecnica è importante, ma non deve diventare una fissazione: bisogna darle il giusto peso, senza diventarne schiavi. Secondo me è molto più importante studiare la storia della fotografia.

Avere un proprio stile è imprescindibile per chiunque si professi “fotografo”:

Studiando i grandi della fotografia, si capisce che ognuno di essi era riconoscibile perché aveva un suo stile. Ogni fotografo, grande o piccolo, dovrebbe aspirare ad avere uno stile personale. I miei fotografi preferiti sono Alex Webb, William Eggleston, Robert Frank e Walker Evans.

Alla domanda “bianco e nero o a colori?”, Alessio risponde senza mostrare dubbi:

Ho scattato a lungo in bianco e nero, ora scatto soprattutto a colori, sto provando a capire che parte possa avere nel trasmettere il messaggio che voglio far passare. È vero che a volte il colore potrebbe distogliere l’attenzione dai soggetti della fotografia, ma è altrettanto vero che in molti lo evitano perché si tratta di un elemento in più da gestire. In Beach Life sto trattando parecchio l’uso del colore.

C’è poi una distinzione che il giovane fotografo sulcitano ci tiene a fare: quella tra foto “belle” e foto “buone”.

Un fotografo che considero un maestro mi ha spiegato che esistono due tipi di fotografia: una foto “bella” e una foto “buona”. È difficile distinguere tra l’una e l’altra, ma bisogna sforzarsi di trovare la foto “buona”, perché è l’unica che il fotografo può usare per trasmettere un messaggio.

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Alessio ha imparato dal suo mentore che la fotografia ha delle affinità elettive con la narrativa:

La fotografia ha più cose in comune con la narrativa che con il cinema: l’ho imparato dal mio maestro di fotografia. Per i miei progetti ho scritto prima delle didascalie, da cui sono partito per scattare le foto. Ho capito che la fotografia serve a scrivere storie: preferisco scattare foto “buone”, che raccontino delle storie, piuttosto che foto “belle” e basta.

Per quanto riguarda il futuro, le idee sono altrettanto chiare: nessuna forzatura, solo passione.

Il mio futuro? Non lo so. Studierò design e grafica, questa è una certezza, ma per quanto riguarda la fotografia… be’, non voglio forzare la mia passione, se diventerà una professione bene, ma non voglio forzature. Di certo non rifiuterò occasioni di lavoro.

Di rado un ragazzo così giovane ha una visione così profonda della forma d’arte a cui si è consacrato. Alessio Garau è indubbiamente una promessa della fotografia, soprattutto per l’approccio alla materia: se continuerà a tenere accesa la fiamma della passione, la fotografia lo ripagherà.

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